A little life – Hanya Yanagihara

Finito, finalmente. 1091 pagine di “Una vita come tante” in esattamente 15 giorni. Forse è per questo che mercoledì scorso mi hanno diagnosticato le extrasistole sopra ventricolari per la prima volta in vita mia. LOL.

Alla fine ti senti più masochista del protagonista Jude. Ho sperato con tutte le mie forze, da circa quando l’autrice rivela tutto il suo passato orrendo, che egli si suicidasse una volta per tutte. Si può augurare la morte ad un essere umano di finzione?

Questo libro contiene tantissimi temi, poiché parla della vita di uomo. Infatti non c’è una trama, bensì una evoluzione che non fa arrancare nella lettura, ma che azzoppa lentamente colui che cresce – Jude.

Partiamo dall’inizio, da ciò che mi ha colpito subito: dopo circa 200 pagine mi sono chiesta come mai mancassero delle donne e dei bambini nel libro, nonostante il tema materno e l’infanzia non manchino affatto tra gli innumerevoli temi trattati. Le donne di cui si parla più spesso sono solamente due, di cui ad una non viene dato molto rilievo. Direi che questo libro possa essere tradotto con: this is a man’s world. Con l’avanzare della lettura, il genere maschile diventava quasi sempre più odioso ai miei occhi.

Ah, la rabbia, lei si è che una delle emozioni primarie e protagoniste del romanzo.

Prima ho detto che nel finale mi sono augurata davvero che morisse Jude, che smettesse di soffrire. L’intenzione era – forse – di farmi riflettere sul suicidio e sull’accanimento terapeutico e devo dire che per questo motivo è un libro riuscito. In Jude, e nella sua disabilità, ci si riesce bene ad immedesimare, Yanagihara (l’autrice) ha usato una scrittura davvero scorrevole e i cambi di prospettiva hanno aiutato ad empatizzare con lui e i personaggi che lo accompagnano.

Mi sono sentita quasi crudele quando ho sperato che il mio desiderio di lieto fine fosse esaudito. Il dolore che una disabilità e i traumi portano con sé può avere un lieto fine? Dipende certamente dai nostri valori morali, dal livello di ottimismo, dall’esperienza personale, dal livello di fantasia.

Spesso Jude mi ha fatto incazzare, perché la disabilità lui non l’accettava, non la voleva, voleva che agli occhi degli altri non ci fosse. Quando uno dei suoi migliori amici lo imita nei gesti e nei movimenti, lui decide per lungo tempo di non perdonarlo perché la sua immagine vista allo specchio gli ha fatto paura. Perché la disabilità è qualcosa a cui le persone “normali” non sono abituate, ma sono loro che ne hanno quasi il timore. Jude pensava che facendo tutto ciò che gli altri facevano, quel “difetto” non si vedesse. Che illuso. Che testardo. L’ho odiato: ho provato esattamente il sentimento che non avrebbe voluto che gli altri provassero: pena.

E’ un libro pieno di pena e di pene: sia dolori che cazzi. Troppa e troppi.

ERGO:

  • se volete leggere sulla disabilità, non è il libro giusto
  • se volete leggere una storia di crescita personale, non è il libro giusto
  • se volete leggere un romanzo a lieto fine, non è il libro giusto
  • se NON volete leggere di traumi violenti ed orrendi sui bambini, non è il libro giusto
  • se NON volete arrabbiarvi, non è il libro giusto
  • se NON volete pensare a come si possa sentire un uomo che si fa a pezzi costantemente, non è il libro giusto.

Aggiungo alcune cose di seguito: l’ho letto perché ne avevo sentito parlare tantissimo, consigliatissimo, libro della vita di tantissimi/e lettori/trici. Come avrete dedotto, non della mia. Poi, avevo sentito dire che avrei pianto tanto e devo dire che in due momenti, sì, mi sono commossa, le uniche e rarissime gioje della vita di Jude, ma non ho pianto nelle scene tristi. Capisco adesso perché si parla di eccesso di dolore, di sadismo nell’esporre tanta violenza a gratis: quasi fosse un museo delle torture nel quale chi legge goda nel leggere di storie “tristi”.

Se sei curios*, trovi altri articoli qui sul mio blog… questa è la mia prima recensione di un libro 🙂

3 risposte a "A little life – Hanya Yanagihara"

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